30 anni di storia dei videogiochi
L’uscita di Return to Monkey Island (settembre 2022) ha riportato i fan dei videogame con la memoria al 1990, quando debuttava The Secret of Monkey Island, avventura grafica basata sulle peripezie di Guybrush Threepwood, aspirante pirata un po’ goffo, la cui storia ha ispirato il film Pirati dei Caraibi. Se il protagonista di oggi e di allora è il medesimo, così come l’interfaccia “punta e clicca”, che richiede di usare il mouse per fargli compiere azioni nell’ambiente circostante, i videogame in generale in 30 anni sono cambiati moltissimo, sotto la spinta della rivoluzione tecnologica che costituisce leva del loro sviluppo.
Le uscite recenti di titoli come God of War Ragnarök, Call of Duty: Modern Warfare II, Resident Evil Village: Shadows of Rose, che rievocano serie popolari da 20 o 30 anni, potrebbero far pensare il contrario. In realtà, anche se personaggi e saghe si ripetono da decadi, a cambiare radicalmente è stata anzitutto la grafica: all’epoca del primo Monkey Island i videogiochi sfruttavano al massimo 256 colori e una risoluzione di 640×480 pixel, oggi i colori sono diventati milioni, e i pixel possono raggiungere anche la risoluzione di 4K (3840×2160): è chiaro che con un numero così vasto di punti per realizzare immagini, ambientazioni e protagonisti dei giochi sono molto più definiti e fotorealistici.. Nove generazioni di macchine. Gran parte del merito è dovuto al progresso delle console per giocare. Oggi come 30 anni fa, quando impazzava la Super NES, il mercato è dominato dalla giapponese Nintendo, con la sua ibrida Switch, che permette di giocare sul display portatile o collegandosi a una Tv, e di cui sono stati venduti 113 milioni di pezzi. Ma a rivoluzionare il mercato, portando i videogiochi nei salotti di tutto il mondo, è stata nel 1993 Sony con la PlayStation, diventata in breve sinonimo di console. ù
Nel giro di tre decenni siamo arrivati alla nona generazione di macchine da gioco (la prima è considerata quella di modelli come Magnavox Odissey, usciti tra gli anni ’70 e ’80): l’odierna PlayStation 5, rispetto alla sua progenitrice, offre non soltanto maggiore potenza di calcolo e migliori grafica e sonoro, ma fa ormai affidamento, come la rivale Xbox Serie X di Microsoft, soprattutto sulla distribuzione digitale di videogiochi scaricati dalla rete. Per affermarsi, questo sistema ha avuto bisogno dello sviluppo della banda larga, e ha sostituito così il Cd-Rom o il successivo Blu-ray, considerati rivoluzionari all’epoca in cui furono introdotti. Un avanzamento progressivo che ha fatto sì che un gioco passasse dall’occupare quattro floppy disk da tre pollici e mezzo, per un totale di meno di sei MB di memoria, agli anche 250 GB odierni, per contenere i quali ci vorrebbero oltre 173mila floppy disk!. Grafica 3D. L’evoluzione nel tempo del medium videoludico, a differenza di altri come il cinema o la letteratura, è legato a doppio filo con il relativo sviluppo tecnologico. Un esempio è quello dei “motori di gioco”, ovvero i software che permettono a pc e console di tradurre i programmi in sequenze interattive. Il più avanzato, uscito ad aprile scorso, è Unreal Engine 5, che permette di importare fotografie per creare mondi virtuali, ed è stato usato per realizzare una scena contenente 10 miliardi di poligoni, le unità geometriche minime per ricreare nei giochi l’illusione della tridimensionalità.
Nel 1992, ricreare un ambiente 3D sul display di un computer era difficile, tanto che i programmatori del videogame Wolfenstein 3D ricorsero a un’illusione ottica grazie alla tecnica della modellazione dei solidi chiamata ray casting, attraverso cui si poteva simulare il movimento di un personaggio in uno spazio chiuso inquadrato dal suo punto di vista. È stato grazie all’intuizione di quel gioco e allo sviluppo dei motori grafici 3D che il genere “sparatutto in prima persona”, in cui il giocatore guarda i nemici con gli occhi del protagonista e li affronta con un’arma da fuoco in pugno, è fiorito, diventando uno dei più popolari (insieme ad altri come i puzzle, i platform, i role-playing game, quelli di strategia e così via).. Immersi nel gioco. È proprio per coinvolgere sempre più con i sensi il giocatore nell’avventura che i creatori di videogame hanno iniziato nel 2016 a utilizzare la realtà virtuale, ovvero visori come quelli di Oculus, HTC o della stessa PlayStation, in grado di ingannare la vista al punto da creare, per chi li indossa, l’illusione di trovarsi all’interno di un ambiente digitale tridimensionale in cui ci si può muovere, si può sparare e si può interagire con vari oggetti.
Questa rivoluzione tecnologica ha cambiato per molti il modo di giocare, ma ancora maggiore impatto sulle masse ha avuto l’esplosione del mobile gaming, ovvero la fruizione di videogame attraverso congegni portatili: ancora agli albori negli anni ’90, con l’introduzione di titoli come Snake sui telefoni Nokia, i giochi interattivi tascabili hanno avuto un boom dal 2007 in poi con l’arrivo dell’iPhone e di altri smartphon, che, riprendendo il concetto delle console portatili come GameBoy (1989) e Game Gear (1990), lo allargavano a una platea di milioni di utenti, grazie alle possibilità di sviluppo informatico e commerciale offerte dal sistema delle app. Ogni innovazione dell’hardware porta infatti con sé novità nel software e nei modi di giocare: così la diffusione dei telefoni dotati di display e fotocamere in alta definizione ha sdoganato l’utilizzo della realtà aumentata, ovvero la sovrimpressione di immagini digitali su altre reali inquadrate dall’utente, per l’utilizzo videoludico.. Il boom di Pokémon Go. L’esempio più eclatante e di maggior successo è quello di Pokémon Go, il gioco in cui l’utente impugnando lo smartphone può cercare Pokémon nell’ambiente circostante e tentare di catturarli, per poi utilizzarli in battaglie con gli amici: lanciato nel 2016, il videogame è stato scaricato da 590 milioni di persone e ha generato oltre 5 miliardi di dollari di fatturato. Un’altra moda che, per più di un lustro, ha rapito gli appassionati è stata quella lanciata da Nintendo Wii, poi seguita da Sony e Microsoft, console pensata per far alzare gli utenti dal divano e farli divertire con giochi di movimento come tennis, golf e bowling, mediante l’introduzione di un controller dotato di accelerometri in grado di percepire gli spostamenti dell’utente nello spazio e tradurli in reazioni degli alter ego digitali sullo schermo.. Considerato un fenomeno di nicchia ancora negli anni ’90, soprattutto in Italia, il mercato dei videogame è esploso fino a valere circa 200 miliardi di euro con tre miliardi di giocatori, secondo le stime di Newzoo. Nel nostro Paese, secondo i dati forniti da IIDEA, l’associazione che raccoglie le aziende del settore, il mercato nel 2021 ha fatturato 2,2 miliardi di euro e coinvolge un pubblico di 15,5 milioni di persone, soprattutto nelle fasce d’età 15-24 e 45-64 anni, in misura quasi paritaria tra uomini e donne, segno che gli appassionati di ieri non si sono disaffezionati e altri più giovani si sono aggiunti al club.
Business multimilionario. Per alcuni, l’ossessione per i videogame si è trasformata in vero lavoro, attraverso competizioni sportive, i cosiddetti eSport, che prendono a prestito l’idea delle classifiche dei migliori punteggi realizzati dai giocatori, già presenti nei primi arcade game posti nei bar negli anni ’80, come Space Invaders o PacMan, per trasformarla in un business multimilionario: oggi i teenager con i riflessi e le strategie migliori, opportunamente allenati in vere e proprie accademie, partecipano a tornei di titoli come Dota 2, Fortnite, League of Legends e tanti altri, con montepremi che in alcuni casi hanno superato i 40 milioni di euro (in Italia il fenomeno ha un impatto economico annuo pari a 47 milioni, secondo IIDEA). Il 29enne danese Johan Sundstein, conosciuto con il soprannome N0tail, in nove anni di carriera ha guadagnato 7,1 milioni, cui vanno aggiunti i denari di partnership e sponsorizzazioni
. Comandi vocali e mentali. Un fenomeno globale di tale portata non può non guardare al futuro, per trovare nuovi adepti grazie all’innovazione. La prima e più evidente è quella del focus metaverso, che porta nel mondo videoludico meccanismi della tecnologia blockchain usata per le criptovalute. Così l’idea di universi multigiocatore già esistente, in cui vivere avventure come World of Warcraft, viene reinventata seppure in modo diverso da piattaforme come Roblox o The Sandbox, in cui gli utenti possono giocare e guadagnare una valuta o creare e vincere oggetti digitali per rivenderli, permettendo così di guadagnare giocando.
Un altro concept sperimentato per anni nei videogame, spesso con esiti deludenti a causa della tecnologia non matura, è quello dell’utilizzo della voce come comando, e che ora diventa praticabile grazie ai passi da gigante dell’intelligenza artificiale nella comprensione del linguaggio naturale messa in pratica dagli assistenti vocali: a febbraio 2023 uscirà Dead Island 2, primo titolo che utilizzerà Alexa Game Control, software per poter chiedere al proprio alter ego di compiere alcune azioni semplicemente parlando.. Se l’interazione poi avviene sempre attraverso un avatar con cui ci si identifica e, nei titoli narrativi, nel dialogo con altri personaggi, la prossima frontiera potrebbe essere creare umani digitali indistinguibili da quelli reali e persino repliche di sé, come permetteranno di fare sempre più tecnologie, come MetaHuman di Epic Games, che rende pori della pelle, riflessi degli occhi, rughe d’espressione, capelli e ogni altro dettaglio in modo ultra realistico.
A quel punto, disponendo di un proprio clone digitale, si potrebbe forse avverare uno degli altri sogni a lungo cullati dai creatori di videogame, ovvero usare la mente come interfaccia: se una scimmia è stata in grado di giocare a Pong con l’impianto wireless Neuralink finanziato da Elon Musk, e pensato per scopi ben più seri come curare i tetraplegici, è chiaro che prima o poi qualcuno proverà a proporlo per sostituire il joypad. Azzerando i tempi di reazione durante gli eventi del videogioco e, perché no, creando il campione definitivo di eSport..
Le uscite recenti di titoli come God of War Ragnarök, Call of Duty: Modern Warfare II, Resident Evil Village: Shadows of Rose, che rievocano serie popolari da 20 o 30 anni, potrebbero far pensare il contrario. In realtà, anche se personaggi e saghe si ripetono da decadi, a cambiare radicalmente è stata anzitutto la grafica: all’epoca del primo Monkey Island i videogiochi sfruttavano al massimo 256 colori e una risoluzione di 640×480 pixel, oggi i colori sono diventati milioni, e i pixel possono raggiungere anche la risoluzione di 4K (3840×2160): è chiaro che con un numero così vasto di punti per realizzare immagini, ambientazioni e protagonisti dei giochi sono molto più definiti e fotorealistici.. Nove generazioni di macchine. Gran parte del merito è dovuto al progresso delle console per giocare. Oggi come 30 anni fa, quando impazzava la Super NES, il mercato è dominato dalla giapponese Nintendo, con la sua ibrida Switch, che permette di giocare sul display portatile o collegandosi a una Tv, e di cui sono stati venduti 113 milioni di pezzi. Ma a rivoluzionare il mercato, portando i videogiochi nei salotti di tutto il mondo, è stata nel 1993 Sony con la PlayStation, diventata in breve sinonimo di console. ù
Nel giro di tre decenni siamo arrivati alla nona generazione di macchine da gioco (la prima è considerata quella di modelli come Magnavox Odissey, usciti tra gli anni ’70 e ’80): l’odierna PlayStation 5, rispetto alla sua progenitrice, offre non soltanto maggiore potenza di calcolo e migliori grafica e sonoro, ma fa ormai affidamento, come la rivale Xbox Serie X di Microsoft, soprattutto sulla distribuzione digitale di videogiochi scaricati dalla rete. Per affermarsi, questo sistema ha avuto bisogno dello sviluppo della banda larga, e ha sostituito così il Cd-Rom o il successivo Blu-ray, considerati rivoluzionari all’epoca in cui furono introdotti. Un avanzamento progressivo che ha fatto sì che un gioco passasse dall’occupare quattro floppy disk da tre pollici e mezzo, per un totale di meno di sei MB di memoria, agli anche 250 GB odierni, per contenere i quali ci vorrebbero oltre 173mila floppy disk!. Grafica 3D. L’evoluzione nel tempo del medium videoludico, a differenza di altri come il cinema o la letteratura, è legato a doppio filo con il relativo sviluppo tecnologico. Un esempio è quello dei “motori di gioco”, ovvero i software che permettono a pc e console di tradurre i programmi in sequenze interattive. Il più avanzato, uscito ad aprile scorso, è Unreal Engine 5, che permette di importare fotografie per creare mondi virtuali, ed è stato usato per realizzare una scena contenente 10 miliardi di poligoni, le unità geometriche minime per ricreare nei giochi l’illusione della tridimensionalità.
Nel 1992, ricreare un ambiente 3D sul display di un computer era difficile, tanto che i programmatori del videogame Wolfenstein 3D ricorsero a un’illusione ottica grazie alla tecnica della modellazione dei solidi chiamata ray casting, attraverso cui si poteva simulare il movimento di un personaggio in uno spazio chiuso inquadrato dal suo punto di vista. È stato grazie all’intuizione di quel gioco e allo sviluppo dei motori grafici 3D che il genere “sparatutto in prima persona”, in cui il giocatore guarda i nemici con gli occhi del protagonista e li affronta con un’arma da fuoco in pugno, è fiorito, diventando uno dei più popolari (insieme ad altri come i puzzle, i platform, i role-playing game, quelli di strategia e così via).. Immersi nel gioco. È proprio per coinvolgere sempre più con i sensi il giocatore nell’avventura che i creatori di videogame hanno iniziato nel 2016 a utilizzare la realtà virtuale, ovvero visori come quelli di Oculus, HTC o della stessa PlayStation, in grado di ingannare la vista al punto da creare, per chi li indossa, l’illusione di trovarsi all’interno di un ambiente digitale tridimensionale in cui ci si può muovere, si può sparare e si può interagire con vari oggetti.
Questa rivoluzione tecnologica ha cambiato per molti il modo di giocare, ma ancora maggiore impatto sulle masse ha avuto l’esplosione del mobile gaming, ovvero la fruizione di videogame attraverso congegni portatili: ancora agli albori negli anni ’90, con l’introduzione di titoli come Snake sui telefoni Nokia, i giochi interattivi tascabili hanno avuto un boom dal 2007 in poi con l’arrivo dell’iPhone e di altri smartphon, che, riprendendo il concetto delle console portatili come GameBoy (1989) e Game Gear (1990), lo allargavano a una platea di milioni di utenti, grazie alle possibilità di sviluppo informatico e commerciale offerte dal sistema delle app. Ogni innovazione dell’hardware porta infatti con sé novità nel software e nei modi di giocare: così la diffusione dei telefoni dotati di display e fotocamere in alta definizione ha sdoganato l’utilizzo della realtà aumentata, ovvero la sovrimpressione di immagini digitali su altre reali inquadrate dall’utente, per l’utilizzo videoludico.. Il boom di Pokémon Go. L’esempio più eclatante e di maggior successo è quello di Pokémon Go, il gioco in cui l’utente impugnando lo smartphone può cercare Pokémon nell’ambiente circostante e tentare di catturarli, per poi utilizzarli in battaglie con gli amici: lanciato nel 2016, il videogame è stato scaricato da 590 milioni di persone e ha generato oltre 5 miliardi di dollari di fatturato. Un’altra moda che, per più di un lustro, ha rapito gli appassionati è stata quella lanciata da Nintendo Wii, poi seguita da Sony e Microsoft, console pensata per far alzare gli utenti dal divano e farli divertire con giochi di movimento come tennis, golf e bowling, mediante l’introduzione di un controller dotato di accelerometri in grado di percepire gli spostamenti dell’utente nello spazio e tradurli in reazioni degli alter ego digitali sullo schermo.. Considerato un fenomeno di nicchia ancora negli anni ’90, soprattutto in Italia, il mercato dei videogame è esploso fino a valere circa 200 miliardi di euro con tre miliardi di giocatori, secondo le stime di Newzoo. Nel nostro Paese, secondo i dati forniti da IIDEA, l’associazione che raccoglie le aziende del settore, il mercato nel 2021 ha fatturato 2,2 miliardi di euro e coinvolge un pubblico di 15,5 milioni di persone, soprattutto nelle fasce d’età 15-24 e 45-64 anni, in misura quasi paritaria tra uomini e donne, segno che gli appassionati di ieri non si sono disaffezionati e altri più giovani si sono aggiunti al club.
Business multimilionario. Per alcuni, l’ossessione per i videogame si è trasformata in vero lavoro, attraverso competizioni sportive, i cosiddetti eSport, che prendono a prestito l’idea delle classifiche dei migliori punteggi realizzati dai giocatori, già presenti nei primi arcade game posti nei bar negli anni ’80, come Space Invaders o PacMan, per trasformarla in un business multimilionario: oggi i teenager con i riflessi e le strategie migliori, opportunamente allenati in vere e proprie accademie, partecipano a tornei di titoli come Dota 2, Fortnite, League of Legends e tanti altri, con montepremi che in alcuni casi hanno superato i 40 milioni di euro (in Italia il fenomeno ha un impatto economico annuo pari a 47 milioni, secondo IIDEA). Il 29enne danese Johan Sundstein, conosciuto con il soprannome N0tail, in nove anni di carriera ha guadagnato 7,1 milioni, cui vanno aggiunti i denari di partnership e sponsorizzazioni
. Comandi vocali e mentali. Un fenomeno globale di tale portata non può non guardare al futuro, per trovare nuovi adepti grazie all’innovazione. La prima e più evidente è quella del focus metaverso, che porta nel mondo videoludico meccanismi della tecnologia blockchain usata per le criptovalute. Così l’idea di universi multigiocatore già esistente, in cui vivere avventure come World of Warcraft, viene reinventata seppure in modo diverso da piattaforme come Roblox o The Sandbox, in cui gli utenti possono giocare e guadagnare una valuta o creare e vincere oggetti digitali per rivenderli, permettendo così di guadagnare giocando.
Un altro concept sperimentato per anni nei videogame, spesso con esiti deludenti a causa della tecnologia non matura, è quello dell’utilizzo della voce come comando, e che ora diventa praticabile grazie ai passi da gigante dell’intelligenza artificiale nella comprensione del linguaggio naturale messa in pratica dagli assistenti vocali: a febbraio 2023 uscirà Dead Island 2, primo titolo che utilizzerà Alexa Game Control, software per poter chiedere al proprio alter ego di compiere alcune azioni semplicemente parlando.. Se l’interazione poi avviene sempre attraverso un avatar con cui ci si identifica e, nei titoli narrativi, nel dialogo con altri personaggi, la prossima frontiera potrebbe essere creare umani digitali indistinguibili da quelli reali e persino repliche di sé, come permetteranno di fare sempre più tecnologie, come MetaHuman di Epic Games, che rende pori della pelle, riflessi degli occhi, rughe d’espressione, capelli e ogni altro dettaglio in modo ultra realistico.
A quel punto, disponendo di un proprio clone digitale, si potrebbe forse avverare uno degli altri sogni a lungo cullati dai creatori di videogame, ovvero usare la mente come interfaccia: se una scimmia è stata in grado di giocare a Pong con l’impianto wireless Neuralink finanziato da Elon Musk, e pensato per scopi ben più seri come curare i tetraplegici, è chiaro che prima o poi qualcuno proverà a proporlo per sostituire il joypad. Azzerando i tempi di reazione durante gli eventi del videogioco e, perché no, creando il campione definitivo di eSport..