La libertà online nel mondo
Internet non è il paradiso della libertà di espressione, almeno non dappertutto. Secondo le analisi di Surfshark, azienda specializzata nella privacy digitale, negli ultimi 5 anni almeno un terzo dei governi mondiali ha messo in campo pratiche volte a censurare il contenuto dei social network o a limitarne l’accesso. I migliori dei peggiori. A contendersi il primato dei continenti più illiberali sono Asia e Africa, dove l’accesso ai social è soggetto a limitazioni e controlli più o meno restrittivi quasi ovunque. Nella maggior parte dei casi l’accesso alle piattaforme di condivisione e ai sistemi di messaggistica come Whatsapp o Telegram, pur essendo perennemente ristretto, subisce ulteriori blocchi e censure nei periodi caldi della politica, per esempio durante le elezioni, le crisi di governo o le tensioni militari. Silenzio elettorale. Parlando di singoli Paesi, a Cuba, è bloccato l’accesso ai social dal 30 novembre scorso, da quando cioè un gruppo di manifestanti è sceso in piazza per rivendicare i diritti degli artisti. Non è andata meglio in Tanzania, dove lo scorso 27 ottobre, in occasione delle elezioni, le autorità hanno bloccato per diversi giorni l’accesso ai social network e alle piattaforme di comunicazione online. Nemmeno l’Europa è del tutto immune dalla censura digitale: nel 2016 il Montenegro, durante la tornata elettorale, ha completamente bloccato l’accesso a Whatsapp e Viber. A questo si aggiungono le limitazioni imposte più volte negli ultimi anni da Russia, Ucraina e Bielorussa, che in tempi diversi hanno limitato o completamente bloccato l’accesso ai social media, spesso in occasione di elezioni o di scontri politici e manifestazioni contro i governi. Social alla cantonese. Un discorso a parte lo merita la Cina, che ha completamente bloccato ai suoi cittadini l’accesso ai social media occidentali e li ha sostituiti con un proprio ecosistema composto da piattaforme “made in China”: gli instant messaging WeChat e QQ, Weibo (un micro-Twitter), RenRen (sosia di Facebook di scarso successo) e Qzone (un MySpace alternativo). Equilibrio precario. I social media sono comunque un terreno delicato: sebbene possano dare un contributo determinante all’affermazione della libertà di opinione e dei diritti civili, negli ultimi anni si sono dimostrati anche una delle armi predilette da chi vuole manipolare l’opinione pubblica o le intenzioni di voto. «Il futuro della libertà online», spiegano gli esperti di Freedom House, organizzazione non profit per la tutela delle libertà e dei diritti civili, «passerà dalla capacità di governi e aziende nel risolvere questo conflitto che ha caratterizzato la storia recente delle piattaforme social.».