L’ecologia dei resi
Tra gli effetti economici della pandemia, la crescita dell’ecommerce è uno dei più evidenti. Tra zone rosse, negozi chiusi e lockdown più o meno rigidi l’ecommerce è stato un’ancora di salvezza per molti. E mentre tante attività tradizionali hanno dovuto fare i conti con una crisi senza precedenti, gli operatori dello shopping online e il loro indotto, prime tra tutte le aziende di logistica, hanno prosperato. Secondo uno studio inglese nel 2020 l’ecommerce è cresciuto del 30% rispetto all’anno precedente, la crescita più alta dal 2007.. Ma, si sa, quando si compra a distanza spesso la sorpresa è dietro l’angolo: quel vestito che in foto ci piaceva tanto n realtà non ci sta poi così bene, le scarpe sono del numero sbagliato, il tessuto della maglia non è morbido come ci aspettavamo. E così, parte il reso. E proprio la possibilità di resi gratuiti e senza impegno sembra essere stata una delle motivazioni che in questi mesi di clausura ha convinto anche i più scettici ad acquistare online.
Uno su quattro. Uno studio pubblicato lo scorso anno da un’associazione di categoria di commercianti britannici ha stimato che circa il 25% dei prodotti di abbigliamento acquistati su Internet viene restituita ai venditori, e quasi la metà degli acquirenti online nel 2020 ha effettuato almeno un reso.
Ma se restituire un acquisto sbagliato per l’utente è questione di pochi click, per il venditore è un vero problema economico e non solo: il pacco deve essere ritirato da un corriere e una volta rientrato in magazzino il prodotto deve essere verificato ed eventualmente reimmesso nella catena logistica.. Spesso significa dover rifare a mano la confezione e ed effettuare, sempre manualmente, operazioni come l’etichettatura e lo stoccaggio. Se il bene in questione è di basso valore, spesso conviene farlo finire direttamente in discarica. L’impatto complessivo di un reso è insomma tutt’altro che trascurabile: Rebond Returns, azienda specializzata nella gestione dei resi per i grandi operatori dell’ecommerce, ha visto lievitare i propri volumi del 63% nel corso della pandemia.
Resi più complessi. Per limitare il numero di resi e il loro impatto, i giganti dell’ecommerce e i loro partner specializzati stanno provando diverse soluzioni: molti stanno rendendo obbligatoria la compilazione di un questionario che va ad indagare nel dettaglio i motivi del reso, mostrando anche il costo ambientale della restituzione in termini di CO2.
Altre aziende prima di procedere con il reso chiedono al cliente una foto dettagliata dell’oggetto in questione e provano a risolvere la questione offrendo al cliente un rimborso parziale o, nel caso in cui l’oggetto sia arrivato rotto, il costo della riparazione. Insomma, ogni volta che facciamo un ordine online, assicuriamoci di comprare la cosa giusta perchè il reso non è gratis. Soprattutto per l’ambiente.
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Uno su quattro. Uno studio pubblicato lo scorso anno da un’associazione di categoria di commercianti britannici ha stimato che circa il 25% dei prodotti di abbigliamento acquistati su Internet viene restituita ai venditori, e quasi la metà degli acquirenti online nel 2020 ha effettuato almeno un reso.
Ma se restituire un acquisto sbagliato per l’utente è questione di pochi click, per il venditore è un vero problema economico e non solo: il pacco deve essere ritirato da un corriere e una volta rientrato in magazzino il prodotto deve essere verificato ed eventualmente reimmesso nella catena logistica.. Spesso significa dover rifare a mano la confezione e ed effettuare, sempre manualmente, operazioni come l’etichettatura e lo stoccaggio. Se il bene in questione è di basso valore, spesso conviene farlo finire direttamente in discarica. L’impatto complessivo di un reso è insomma tutt’altro che trascurabile: Rebond Returns, azienda specializzata nella gestione dei resi per i grandi operatori dell’ecommerce, ha visto lievitare i propri volumi del 63% nel corso della pandemia.
Resi più complessi. Per limitare il numero di resi e il loro impatto, i giganti dell’ecommerce e i loro partner specializzati stanno provando diverse soluzioni: molti stanno rendendo obbligatoria la compilazione di un questionario che va ad indagare nel dettaglio i motivi del reso, mostrando anche il costo ambientale della restituzione in termini di CO2.
Altre aziende prima di procedere con il reso chiedono al cliente una foto dettagliata dell’oggetto in questione e provano a risolvere la questione offrendo al cliente un rimborso parziale o, nel caso in cui l’oggetto sia arrivato rotto, il costo della riparazione. Insomma, ogni volta che facciamo un ordine online, assicuriamoci di comprare la cosa giusta perchè il reso non è gratis. Soprattutto per l’ambiente.
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